Rischiamo, cambiamo, evolviamo.
E con il design abbiamo una storia d’amore.
Equilibri, consapevolezze e bisogni, nell’evoluzione del design secondo Andrea Caperni, Design Director in Sketchin.
Era il febbraio del 1999. Ero studente di Economia e Commercio. Fu quasi un caso, rimasi colpito da un programma che stava usando un mio compagno. Era Adobe Photoshop. Mi innamorai. Quel colpo di fulmine fu un totale cambio di visione, una scoperta profonda di me stesso e di ciò che volevo fare professionalmente. Ho capito chi volevo essere e quanto la creatività facesse parte della mia vita. Da lì ho scoperto anche il mondo che oggi è parte di me da oltre vent’anni, un viaggio che è cominciato con l’Istituto Europeo di Design e continua ancora oggi, nello sviluppo di progetti sempre più complessi.
Changes è la nuova serie di District su come la svolta ti cambia il lavoro. Un modo di ricordarti che se sta cambiando qualcosa (e per questo hai molta paura) probabilmente sei sulla strada giusta.
Quello fu il primo cambiamento: da studente di Economia & Commercio al primo corso in Italia in Digital & Virtual Design nel lontano 2002. Quattordici anni dopo, diventavo co-founder di un design studio. Poi una serie di attività formative e da ormai 3 anni l’arrivo in Sketchin.
È stato un rischio.
Ma rischio e cambiamento vivono a braccetto. Credo talmente tanto nel cambiamento che a volte mi spaventa, ma al tempo stesso il cambiamento è qualcosa di cui si può avere bisogno. E quando succede, cerco di andare a capire ancora più in profondità a che risultato può portare.
Nella vita dei designer i cambiamenti sono all’ordine del giorno. Ce ne sono di grandi, come quelli che cambiano drasticamente il percorso professionale. E poi ce ne sono altri di apparentemente più semplici e quotidiani, che nascondono però delle insidie. Come quando è necessario cambiare una scelta progettuale, o cambiare il punto di vista su alcuni temi.
Con la pandemia abbiamo vissuto due anni di cambiamenti molto importanti, e sono cambiate anche molte consapevolezze che avevamo rispetto a prima. Nel mondo del design in particolare, si sono stabiliti nuovi equilibri lavorativi. Secondo me si è perso molto l’aspetto partecipativo del fare design, una caratteristica che aiutava a comprendere meglio i bisogni delle persone.
C’è un equilibrio che va ritrovato.
Nella gestione delle attività giornaliere, dosando adeguatamente le pratiche dello smart working. È una sfida importante, ma lavorando con metodo possiamo venirne fuori al meglio.
Questo tipo di lavoro secondo me parte dal team, ed è un lavoro che si arricchisce con le diverse sfumature delle persone che lo compongono. Fiducia e rispetto sono fondamentali, e quando a queste fondamenta si applica la conoscenza, allora c’è una base solida su cui costruire esperienze di progetto ricche di successi e soddisfazioni.
Con queste basi, da Design Director mi pongo l’obiettivo di garantire sostenibilità ed efficacia nelle soluzioni che propongo. Questi obiettivi alimentano la mia ambizione di crescere professionalmente, conoscere nuove metodologie e continuare in maniera sempre più costante a supportare i giovani designer che incontro nei miei percorsi formativi.
E credo molto nel ruolo di formatore.
Non solo come divulgatore di conoscenza, ma soprattutto come quella persona che può aiutare i giovani designer ad acquisire consapevolezza, conoscenza e capacità di comprendere cosa significa fare design.
È lavorando alla formazione che riesco a conoscere giovani di talento, e con varie specializzazioni. A queste persone consiglio sempre di saper aspettare, cogliendo le opportunità migliori per crescere nella professione e nella cultura prima di tutto. Bisogna essere curiosi, affiancarsi a designer esperti, avere il coraggio di sbagliare e l’intelligenza di capire gli sbagli. E questo si può fare solo se ai giovani viene data responsabilità e libertà nella loro crescita.
Questi sono aspetti fondamentali, tanto importanti da valere anche per chi è più esperto: ogni volta che faccio formazione imparo qualcosa, dai ragazzi, dall’aggiornamento quotidiano, dalle domande che mi vengono fatte a lezione.
Ogni esperienza che ho vissuto mi ha portato qualcosa. E in vent’anni in un ambito come quello digital ho vissuto in mezzo a cambiamenti profondi, con una grandissima evoluzione del mondo del design. Si è capito a fondo il ruolo della tecnologia nella vita di tutti i giorni. E grazie a persone illuminate come Don Norman si è dato lo stimolo e la spinta a far crescere una nuova consapevolezza nell’esperienza uomo/macchina.
Conoscere la storia, (pre)vedere il futuro.
Sono due dei bisogni che abbiamo per preparare l’experience che sarà, e per indirizzare alcune delle scelte progettuali del domani.