Il design come lo conoscevamo è morto. Ma noi stiamo ancora tutti bene.

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Il cambiamento raccontato da Lesley Culla, Service e UX Designer attualmente in Flowe.

Alla domanda “Che lavoro fai?” credo di non aver mai risposto due volte allo stesso modo. Attualmente mi occupo di progettazione dell’esperienza utente per un’app, ma in altri casi il mio lavoro cambia completamente: i progetti sono un insieme di relazioni, connessioni, processi ed esperienze che si creano durante il percorso, tenendo conto tanto dell’utente quanto dell’organizzazione.

Changes è la nuova serie di District su come la svolta ti cambia il lavoro. Un modo di ricordarti che se sta cambiando qualcosa (e per questo hai molta paura) probabilmente sei sulla strada giusta.

Amo unire tutti i puntini di quella sottile linea che in un prodotto racconta una storia, facendo comprendere lo scopo ultimo ed il percorso comune. Amo condurre tutte quelle ricerche che fanno emergere i veri bisogni, le problematiche, le aspettative degli utenti per cui progetto. Tutto questo va sempre fatto comprendendo altre necessità, quelle degli stakeholder.
Nel punto di incontro tra questi due aspetti esiste l’opportunità di sperimentare e innovare, cercando la soluzione “win-win” per tutti.

Mi aiuta la passione per la fotografia: osservazione attenta ed empatia riescono ad essere fondamentali anche nel lavoro di UX designer. Anche creare una visione d’insieme (tanto nelle foto quanto su Miro, per esempio) ed essere capace di fare zoom in e zoom out sui dettagli di un progetto e renderlo alla portata di tutti è un aspetto estremamente affascinante del mio lavoro.

Una designer nel cambiamento

Sono una Designer multidisciplinare, a cui piace sentirsi fluida e destreggiarsi tra Service e UX design. Nella mia carriera sono sempre stata spinta da una forte curiosità nel cercare problemi da risolvere e soluzioni da trovare in team. Tendo ad una figura professionale ibrida, senza stare sotto un’unica definizione. Oggi lavoro nel Team di Digital Product in Flowe, una fintech e società Bcorp di Banca Mediolanum: è un progetto in cui credo molto per i valori che porta in ambito di sostenibilità ambientale, benessere individuale ed evoluzione sociale.

Ho studiato Design della Comunicazione al Politecnico di Milano. Poi un Master di Product Service System Design. E poi DOING, IXDS Munich, Caffeina, Fjord, con l’opportunità di lavorare in studi di design e consulenza internazionale. La grande fortuna di incontrare mentori e colleghi che mi hanno arricchita professionalmente ed umanamente.

Curiosità e voglia di imparare mi hanno portata a trarre qualcosa dai successi e dai fallimenti delle persone che avevo (e continuo ad avere) attorno.

Doing e IXDS hanno significato l’esplorazione di diverse discipline. Caffeina è stata sperimentazione e concretezza. Fjord mi ha forgiata, rendendomi più intenzionale: metodo, design culture ed internazionalità. Lo ammetto: sono migliorata tanto ed ho imparato molto.

Il mio percorso non può essere tracciato in maniera lineare o tradizionale, è semplicemente diventato più intenzionale man mano che si allineava a ciò che stava diventando la mia crescita personale e professionale.

Curiosità e voglia di imparare mi hanno portata a trarre qualcosa dai successi e dai fallimenti delle persone che avevo (e continuo ad avere) attorno.

Tutti i designer cambiano. Sono destinati a farlo.

Il lavoro del designer è tra i più portati al cambiamento. Ed io credo di averlo capito relativamente tardi. Anzi, a dirla tutta: ho combattuto parecchio contro questa propensione del mio stesso lavoro.
Finiti gli studi ci si aspetta di seguire un percorso lineare, definito da un’etichetta. Qualcosa che reciti “Designer” con un’altra parola o sigla accanto. E no, non era così semplice.

“Being comfortable with uncertainty” è un concetto a cui mi sono abituata, comprendendo la necessità ed il fascino di essere mutevoli, con una fluidità assolutamente necessaria nella nostra professione.
Tutto evolve, e niente rimane uguale a se stesso.
Non è sempre facile: passi ore ed ore sulla progettazione di una soluzione, ed il giorno dopo può cambiare tutto.

La capacità di rinnovarsi continuamente deve essere coltivata ogni giorno. Con il tempo si diventa più bravi, e soprattutto intenzionali verso i propri valori, i propri limiti ed il proprio talento. Anche nel cambiamento continuo.

Credo che questo venga dimostrato dalle mie svolte: sono passata da Service a UX designer, per poi capire che potevo rivestire entrambe le figure, senza preclusioni. Ho alternato lavori in studi internazionali di design ai lavori in azienda, ed ancora oggi ovviamente sto ancora capendo i pro ed i contro di ogni situazione.

Quasi un paradosso: l’unica costante è proprio il cambiamento.

È perché è il design a cambiare

Molti cambiamenti nel nostro mondo professionale sono stati condizionati dagli avvenimenti del mondo: lavorare durante la pandemia ha stravolto workflow, processi, comunicazioni, tempistiche ed abitudini. Di fronte a questi cambiamenti siamo stati resilienti e ci siamo adattati velocemente.

Spesso mi sono imbattuta in un’espressione: “il design come lo conoscevamo è morto”, ed è senz’altro vero. Oggi chi fa il mio lavoro progetta servizi ed esperienze per persone che sono anche loro in un continuo cambiamento, nell’ambito di economie e società fluide. Non esiste più una “bolla felice”, siamo continuamente immersi in una moltitudine cangiante di diversità ed esigenze, in cui definire rigidamente un progetto è sempre più arduo e meno efficace.

Ed in questo senso, anche le scuole più tradizionali di design abbiano trasformato un po’ la loro struttura, diminuendo il divario tra ciò che è “scuola” e ciò che è lavoro: ciò che si impara sui banchi è anche ciò che si pratica nella quotidianità professionale.
Sempre più iniziative preparano ragazzi e ragazze a capire cosa aspettarsi dopo l’Università, anche attraverso designer-influencer (come Caffè Design: seguiteli, sono proprio bravi), o la stessa community di District, l’internazionale Adlist.org, e via dicendo.

“Being comfortable with uncertainty” è un concetto a cui mi sono abituata. Tutto evolve, e niente rimane uguale a se stesso.

Il rimescolamento in atto è molto interessante, e coinvolge — oltre ai giovani — anche professionisti più affermati: vedo sempre più seniority prendere coraggio e lasciare il proprio studio di design per fare esperienze in startup, o mettersi alla prova nel creare qualcosa di nuovo e modularlo ad una “nuova normalità”, che non ha punti di appoggio costanti.

Ciò che ci accomuna è la voglia di rifondare ciò in cui crediamo, lasciando andare vecchie abitudini e strutture.

Cambiare il futuro. I junior, i senior, i prodotti.

Ai più giovani dico: siate spugne. Prendete ciò che potete da ogni persona incontrata sul vostro percorso. Alcune cose le capirete proprio dopo un cambiamento, magari con il coraggio di scegliere un nuovo posto di lavoro, un nuovo ruolo, un nuovo progetto.
Osservate le dinamiche attorno a voi. Innamoratevi del problema, non della soluzione. Fidatevi del processo, ma sappiate osare. Niente è lineare, la chiave è sperimentare, testare, sperimentare ancora e testare di nuovo.

Ai più senior dico di promuovere il cambiamento che abbiamo intorno, nei progetti e nei valori. Stiamo uscendo da una fase di “delusione” e stiamo entrando in una fase di ricostruzione, in cui la cultura del progetto che avevamo è stata ridimensionata, ed una nuova via ci si presenta davanti.
Abbiamo l’occasione di ridefinire il concetto stesso di “design”, ma dobbiamo passare attraverso un grande sforzo di adattamento.

Ed infine, un piccolo pensiero sulle nostre creazioni, i nostri lavori: molte delle cose che progettiamo non salveranno il mondo, ma a poco a poco, puntando su accessibilità ed inclusività, potremmo sicuramente cambiarlo. Ogni giorno.

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